Per
forza di cose, questo mese ce l’asciughiamo rapidamente. Anche perché, con
questo caldo, l’unica cosa che non si asciuga rapidamente è il sudore. Le
nostre energie, il nostro entusiasmo (quel briciolo che resisteva a stento), a
tratti anche il nostro sorriso (quello invisibile, che ci portiamo dentro),
tutto evapora senza lasciare traccia. E’ il caldo, chiaramente. In altre lingue, a noi per lo più
sconosciute, lo chiamerebbero con nomi diversi, tipo sconforto, delusione,
rassegnazione, ma noi preferiamo definirlo semplicemente caldo. L’origine di
questo caldo non è univoca, piccole o grandi sorgenti di calore le potete
trovare sparse ovunque su tutto il Pianeta, da oriente ad occidente (equamente
distribuite, verrebbe quasi da dire), da settentrione a meridione. Ma nella
maggior parte dei casi non serve andare tanto lontano, basta affacciarsi al
balcone, sporgersi sull’uscio di casa, guardarsi intimamente allo specchio…
Perché l’origine di questo caldo siamo noi, ognuno di noi, semplicemente noi.
Non ci resta che accettare questa irreversibile ondata di calore, confidando
che non riesca ad asciugare l’ultima goccia che ci tiene in vita, quella che da
sola farà traboccare il vaso, quella che inumidisce e tinge di speranza
(l’ultima) il nostro pennello vagabondo sulla tavolozza del futuro,
conservandone (illusoriamente) tutti i colori…
I colori della Speranza - Anatra sposa & Mandarina - Disegno di Elia Cristoforetti
Esistono
possibili alternative a questo tormento? In questo mese abbiamo provato a
percorrerne alcune, con altalenanti risultati. Abbiamo affrontato la notte,
nella speranza che il buio potesse celare alla nostra consapevolezza la realtà
del giorno. Abbiamo invocato gli spiriti delle tenebre, ma solo in pochi si
sono degnati di risponderci, talvolta con controversi (sibilanti) vocalizzi…
Civetta nana guerriera sibilante
Dobbiamo
confessare, per altro, che gli ospiti della notte, a parità di ambiente, si
comportano in modo completamente diverso a seconda dei contesti. Un esempio? In
provincia di Pordenone (scusate, EDR, si chiama al momento, ma noi
familiarmente la chiamiamo provincia) gli Allocchi si prestano a tenervi
compagnia ovunque voi siate (sottointeso, a casa loro).
Allocco pordenonese particolarmente collaborativo
Tuttavia,
appena si varca il confine della provincia di Udine, verosimilmente per qualche
misterioso accordo sindacale, pare che siano tutti quanti in sciopero del
silenzio. Potete percorre chilometri, nessuno si degnerà di dedicarvi un
briciolo di attenzione. E’ quasi più facile trovare in attività il loro
superiore, tal signor Urali (con un piccolo sforzo, anche in provincia di
Pordenone…). Interrogato a tal proposito, il nostro referente nel capoluogo
regionale (a Trieste) si rifiuta di aprir becco.
Allocco triestino in sciopero - Foto di Stefano Sava
Per
quanto attraente possa essere l’idea di percorrere costantemente questa oscura via,
dobbiamo accettare che l’alba prima o poi ci scoverà, ovunque ci abbia
trascinato il nostro tentativo di sfuggire al calore. Puntare in alto non fa
parte delle nostre usuali prerogative, ma l’alternativa montana potrebbe dare
temporaneo sollievo alle nostre ambasce. Dirò di più, potrebbe addirittura
sorprenderci.
Raponzolo di roccia bianco - Foto di Matteo Skodler La Coturnice pordenonese esiste! - Foto di Fulvio Consonni
Piccole,
solitarie e, spesso, silenziose creature compariranno per brevi istanti in
mezzo alla vegetazione, come effimeri miraggi, a testimonianza di un Universo
prossimo a scomparire. Quell’Universo che nei nostri ricordi (non troppo
lontani) pullulava di suoni e colori (e di pulli).
Merlo dal collare - Foto di Bruno Dentesani Culbianco - Foto di Simone Scognamiglio Stiaccino - Foto di Simone Scognamiglio Crociere esibizionista Codirossone - Foto di Flavio Consonni Codirossone in rientro verso casa
Pochi
istanti, qualche minuto, forse ore. Poi il caldo (ve lo ricordate?) tornerà ad
avvolgere tutto quanto, lasciandoci in balia di uno sconfinato cielo e dei suoi
instancabili messaggeri (dalla coda più o meno forcuta).
Rondone maggiore - Foto di Flavio Consonni
Ci
resteranno ben poche alternative. Potremmo, ad esempio, lasciarci travolgere e
distenderci a terra, lasciando che lo sguardo si perda per l’eternità. O, per lo
meno, fino all’instante in cui verrà catturato da una sagoma alla quale,
facendo presa sulla coscienza residua, ci sforzeremo di dare un nome. Quel
nome, a seconda dei casi, potrebbe essere Falco di palude o Falco pecchiaiolo, Biancone
o Grifone…
Falco di palude - Foto di Bruno Delbianco Falco pecchiaiolo - Foto di Bruno Delbianco Biancone - Foto di Ivano Candon Grifone sul Carso - Disegno di Stefano Sava
Certo
ci piacerebbe che quel nome fosse Gipeto. Ma per vederlo dovremmo chiudere gli
occhi.
Gipeto (altrove) - Foto di Paolo Martinelli
Oppure
potremmo azzardare un Avvoltoio monaco. In quel caso però dovremmo rinunciare
all’indolenza, alzarci in tutta fretta, provare ad inquadrare in qualche modo
la creatura che ci sorvola e scattare qualche foto nella speranza che non sia
tutto vano. E che la nostra coscienza non si sia assopita del tutto, rendendoci
protagonisti di una onirica illusione.
Avvoltoio monaco (senza anelli)
A
volte, quella coscienza residua ci tradirà. E il nome a quella creatura glielo
daremo una volta tornati a casa. Guardando le foto, come ci insegna Bruno con
la Cicogna nera.
Il Grifone & la Cicogna nera - Foto di Bruno Delbianco
Oppure
dimenticandoci completamente di farlo. Come ci insegna Pulotto, che rientrando sconfitto
dall’esperienza montana, stremato dalle avversità, si attardava per strada
attratto da una mistica e inaspettata visione (in dialetto Capovaccaio).
Sorpreso dall’imprevista esperienza si concedeva una breve pausa all’ombra per
verificare cosa fosse davvero rimasto impressionato nei suoi scatti, ma colto
da un’amnesia estemporanea, dimenticava completamente l’episodio nel breve
istante dello spegnere il motore dell’auto, regalando la consapevolezza di
questa sua visione all’oblio. Un colpo di calore?
Capovaccaio - Foto di Flavio Consonni Capovaccaio - Foto di Flavio Consonni
Ci
risiamo, il caldo. Proviamo a schivarlo entrando nel bosco. Una volta forse
avrebbe funzionato. Adesso il conforto è davvero Picchiolo Picchio.
Picchio cenerino - Foto di Massimo Bozza Picchio rosso mezzano - Foto di Stefano Sava Picchio tridattilo - Foto di Luciano Silei Picchio tridattilo in diagonale
Inutile
girarci tanto intorno, il Nocciolo della questione è che anche qui sopravvivono
solo invisibili fantasmi.
Nocciolaia - Foto di Simone Scognamiglio
Che
soluzione abbiamo? L’unica soluzione possibile, quella liquida e acquosa. Andiamo
a fare un tuffo?
Testuggine palustre europea pronta al tuffo - Foto di Massimo Bozza Merlo acquaiolo indeciso - Foto di Stefano Sava Il tuffo della Garzetta - Foto di Ivano Candon Fistione turco "io mi sono già tuffato" Fistione turco - simmetria spazio temporale Piccoli Fistioni turchi crescono - Foto di Marta Trombetta Persico sole "noi ci siamo già tuffati da tempo" - Foto di Stefano Sava
Ecco,
a proposito di Tuffi e di Soluzioni, avete una settimana di tempo per risolvere
il quiz mensile.
Ripartiamo.
La nostra meta è l’acqua. Per raggiungerla dobbiamo attraversare lo sconfinato
deserto senza riparo che separa le alture dalla costa. Non sarà facile, ad ogni
passo potremmo essere vittime sacrificali del destino alato.
Scoiattolo allo scoperto - Foto di Ivano Candon Indovina la preda del Falco di palude - Foto di Ivano Candon Airone guardabuoi & la fine del topastro - Foto di Stefano Sava
Se
vogliamo sopravvivere dovremo fare periodiche tappe, all’ombra dei cespugli.
Occhione - Foto di Simone Scognamiglio
Cosa
ci aspettiamo di trovare in mezzo a questi cespugli? Il fruscio del vento
caldo, forse, qualche insetto e poco altro.
Impollinatore massiccio - Foto di Bruno Delbianco Il Macaone - Foto di Bruno Delbianco Intimità rude - Cervi volanti - Foto di Massimo Bozza
Un
tempo forse saremmo rimasti ammaliati dal melodioso canto di un instancabile
Usignolo. Melodioso? I tempi sono davvero cambiati. Magari l’Usignolo nei
cespugli ogni tanto lo si trova pure, ma definirlo melodioso mi pare un tantino
azzardato…
Canta Usignolo - Foto di Bruno Delbianco Gracchia Usignolo
Oltre a lui, ad ogni modo, poco altro troveremo. Un Canapino, uno Strillozzo, un
Saltimpalo, un Occhiocotto…
Canapino comune - Foto di Stefano Sava Strillozzo imbeccante - Foto di Simone Scognamiglio Saltimpalo giovinastro - Foto di Bruno Delbianco Occhiocotto accaldato - Foto di Simone Scognamiglio
I
piccoli e grandi passeriformi superstiti stanno nidificando. Diventano
invisibili e sfuggenti. Anche quelli che, normalmente, con il loro canto
malinconico riescono a commuoverci da molto molto lontano (nello spazio e nel
tempo).
Il nido del Rigogolo - Disegno di Elia Cristoforetti
E
qui tocchiamo un altro di quei tasti dolenti (e bollenti). Il nido. Sarebbe
bello una volta per tutte dire una frase semplice e chiara, che non
indispettisca nessuno (gravida di quel buon senso che l’essere umano ormai
vuole soltanto dimenticare). “Trovare un nido, molto spesso per caso, e
dedicargli qualche secondo per fotografarlo non è un dramma. Nemmeno condividere
lo scatto è un dramma.” Sarebbe così semplice.
Il nido del Pigliamosche - Foto di Ivano Candon
Ma
gli esseri umani non riescono a vedere la differenza tra uno scatto innocente e
uno persecutorio, di quelli realizzati modificando la vegetazione intorno (o
addirittura modificando l’apertura del nido, nel caso dei picchi) per
realizzare scatti migliori. La stessa differenza che c’è tra documentare e
mettere a rischio il successo riproduttivo della coppia / specie (in buona fede,
a volte, ma senza riflettere adeguatamente su quello si sta facendo e sulle
conseguenze che potrebbe comportare). Accanirsi pur di ottenere ciò che si
vuole e pazienza se la nidiata andrà persa. Ci perdonerete, spero, se non
condividiamo questo atteggiamento. Preferiamo restare alla larga da simili
strategie. E dai nidi. Documentandoli comunque, quando opportuno, perché resti
testimonianza oggettiva di quanto realmente accade. Anche quando si tratta di
una specie non particolarmente attraente (per usare un eufemismo).
Ibis Eremita & Nidificazioni industriali - Foto di Marta Trombetta
Che
poi, per quanto ne sappiamo, molti dei nostri scatti, involontariamente,
potrebbero essere “foto al nido”. Da dove sarà sbucata la Passera mattugia? E
quella strana Taccola (con un marcato collarino chiaro… ) cosa custodirà all’interno
della fessura da cui si affaccia?
Passera mattugia triestina - Foto di Stefano Sava Taccola dal collarino - Cucù - Foto di Massimo Bozza
A
volte poi, senza accanirsi, basterà attendere con pazienza. Saranno i
giovanotti ad attirare la nostra attenzione una volta fuori dal nido. Si
chiamino Passeri solitari o Falchi pellegrini, li troveremo posati sulle
medesime rocce, a picco sull’acqua, pronti a sorprenderci con le loro acrobazie.
(Video di Simone Scognamiglio)
Giovani Falchi pellegrini - Foto di Flavio Consonni Giovane Falco pellegrino - Foto di Flavio Consonni Giovane Falco pellegrino - Foto di Simone Scognamiglio
Passeri solitari - Foto di Flavio Consonni Passero solitario - Foto di Flavio Consonni
E siamo infine arrivati alla nostra destinazione. Il confine estremo tra Terra,
Acqua e Cielo. Il Fuoco ormai ce lo portiamo dietro (e dentro) dall’inizio del
viaggio. Anche qui le visioni, deformate dal riverbero, assumono strane forme.
Creature improbabili compaiono solo il tempo di uno scatto per poi tornarsene
nell’ignoto Universo da cui spesso provengono.
Oca del Canada (o di chissà dove) - Foto di Angelo Formentin Casarca e uno - Foto di Angelo Formentin Casarca e due - Foto di Angelo Formentin Casarca e via!- Foto di Flavio Consonni
Altre,
per una singola frazione di secondo, ci ricordano che siamo in grado di
percepire solo un infinitesimo di quanto realmente ci circonda.
Totano zampegialle minore - Foto di Angelo Formentin
Possiamo
provare a sederci per un attimo, immergendo i piedi nell’acqua (ma non
aspettiamoci di trovarla fresca, al massimo sarà tiepida…) e cerchiamo di
capire cosa sta succedendo. In che mese siamo, giugno? Molto bene. Tanto per
cominciare c’è una Gavina di troppo.
Gavina spelacchiata estiva - Foto di Flavio Consonni
Poi,
quei due Gabbiani rosei adulti come li consideriamo? Due vagabondi? E del
Gabbiano Tridattilo vogliamo parlare (video di Matteo De Luca)?
Gabbiani rosei & Co. - Foto di Angelo Formentin
Su
Sterne comuni e Gabbiani comuni non abbiamo molto da dire. Le prime ci provano, in qualche modo, a tirare avanti la stagione, i secondi hanno sempre meno velleità.
Gabbiano comune - Foto di Simone Scognamiglio Sterna comune - Foto di Stefano Sava Sterna comune - Foto di Bruno Delbianco Sterna comune - Foto di Simone Scognamiglio
Ma
le Sterne zampenere… Da anni ci poniamo degli interrogativi e quelli, negli anni
restano. Ci viene da sorridere al pensiero che decine di loro ci tengano
compagnia per tutta l’estate senza che delle loro reali intenzioni ci sia dato
modo di avere contezza e testimonianza oggettiva. Ma sorridiamo, perché ci
illudiamo che continuino a conservare il loro segreto lontano da occhi
indiscreti.
Decinaia di Sterne zampenere & Co. - Foto di Angelo Formentin Sterne zampenere in parata - Foto di Angelo Formentin Sterne zampenere in parata - Foto di Angelo Formentin Sterne zampenere in parata (e oltre) - Foto di Angelo Formentin
In
passato avevamo puntato un nichelino anche sulle Sule. Ora, l’unica solitaria
superstite sembra interrogarsi anche lei perplessa sul futuro…
Sula & Ombre vaghe - Foto di Simone Scognamiglio
Sulle
Sterne maggiori non ci siamo ancora pronunciati, anche se periodicamente a fine
stagione compaiono (da chissà dove) adulti perseguitati da giovani reclamanti
cibo. Forse sarebbe tutto più chiaro se riuscissimo a decifrare i loro anelli…
Sterne maggiori inanellate - Foto di Angelo Formentin
Gli
anelli. Altro discorso davvero delicato. L’inanellamento a scopo scientifico
(insieme ai GPS, un caso tra tutti quello degli Ibis eremita, ma ci sono anche
i Picchi tridattili e molti altri messaggeri alati…) da decenni continuano a
fornirci informazioni fondamentali per conoscere le strategie migratorie e riproduttive
dei nostri paladini.
Beccaccia di mare "E io da dove arrivo?"
Anche in questo caso ci piacerebbe poter pronunciare una semplice frase come quella sulle foto al nido. Ma respireremo a fondo, ci concederemo la pausa per un sorriso (sofferto) e, restando in silenzio, vi doneremo l’ultima foto del nostro viaggio di giugno, insieme al consueto riassunto delle (asciutte) segnalazioni più interessanti del mese trascorso.
L’ultima foto è la foto di un amico. Un amico
che ci ha tenuto compagnia durante la scorsa stagione invernale, per poi fare
ritorno alle sue terre d’origine. Questo nostro amico si chiama E7. E’ un
Fratino ungherese. Uno dei pochi (?) Fratini ungheresi. E’ ricomparso da qualche
giorno a Bibione (Ve). Lo attendiamo in Spiaggia Fratino, quando vorrà. Insieme
a chi di noi, in quella Spiaggia, avrà ancora il cuore (e non, egoisticamente, altro).
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